di Massimo Capanna
Vento.
Mi scorre sulla pelle mentre finalmente gli ultimi
raggi di sole calano. Quella immensa palla di fuoco sospesa in aria, cosi
chiara, cosi dolorosa ai miei occhi.
Vento. Scorre attorno a me, si muove per le via
della città, mi porta suoni e odori, mi porta pensieri e sensazioni.
Vento. Mi porta via silenziosamente su ali
invisibili, alzandomi verso il cielo scuro. Lo sento tra i capelli, gonfia il
mio mantello che si solleva e sinuosamente si muove, facendo danzare la creatura
ricamata su di esso. Spire che danzano in una vita serpentina con ondulazioni
di oro e bronzo, mentre il nero la circonda .
Vento. Mi porta il silenzio, ora che sono fuori
dalla città, o quello che passa per silenzio da queste parti. Mi porta i rumori
della foresta vicina, mille creature che cacciano, amano, uccidono e vivono.
Vento. Alza polvere attorno a me, mentre seguo la
strada accompagnata dal suono dei mie passi che muovono il terriccio; mi irrita
gli occhi, volti verso il basso a cercare sollievo dall'abbacinante luce che mi
tormenta in questo luogo. La mia ombra nitida dietro di me si staglia scura
sulla strada. Ombre, si muovono attorno a me, seguendo la gente in silenzio,
copiando i loro movimenti in una muta pantomima delle vite che inseguono.
Ombre, cosi comuni in una terra di luce, cosi scontate per gli abitanti di
questi luoghi, ombre che come me osservano meravigliate queste creature fatte
di colori e suoni. Colori intensi suoni forti.
Sento il rumore della cotenna sul metallo che
stride. Seguo movimenti monotoni, precisi. Scorro con gli occhi la lunghezza
della lama, lentamente, rincorrendo il riflesso del sole sul filo dell'arma
ignorando il passare delle carovane attorno a me, almeno in apparenza. Persone e animali che affollano normalmente la
strada di fronte allo spiazzo che divide la rocca alle mie spalle dal resto
della città. Soddisfatta del risultato rimetto l'arma nel fodero che giace
nell'erba, mi accorgo che faccio scappare un insetto che aveva eletto la
pesante copertura di cuoio e legno a riparo dal sole.
L'imponente ombra dell'edificio si allunga e
incombe su me, raggiungendomi infine mentre seguo il rapido guizzare
dell'insetto fuggiasco, perdendolo di vista quando finisce in un folto gruppo
di fiori violacei.
Con riluttanza, poso lo sguardo sulla scura pietra
della rocca, trovando sollievo e sbattendo le palpebre numerose volte per
scacciare le lacrime ed il bruciore che oramai mi tormentano gli occhi.
"Un mondo curioso, popolato da curiose
creature".
Mi accorgo di pensare, tornando con la memoria alle
oramai numerose persone che conosco.
"Così all'oscuro per creature che vivono in
così tanta luce".
Apro gli occhi per riportare cautamente lo sguardo
all'ambiente che mi circonda. Decido di alzarmi, tenendo con una mano la spada,
ora affilata, mentre intorpidita dalla lunga seduta mi stiracchio per ravvivare
i muscoli indolenziti e scrollo le spalle un attimo prima di riallacciare il
fodero alla schiena.
Vento, che mi porta i rumori della città, non poi
diversi da quelli che conosco. Ombre che mi sorprendono, riportandomi a tunnel
oscuri; ad una vita di luce assente o soffusa; al canto della città, uguale
eppure cosi diverso.
Mi fermo dopo le mura e con occhi socchiusi osservo
il crepuscolo. Vedo la terra tingersi di sangue, mentre le ombre si allungano e
mi sfiorano. Io le accolgo, figure amiche e benvenute, come l'oscurità ed il
sollievo che mi porta. Cancellao le ultime macchie di colore, fondendo le forme
in distanza e coprendo questa strana terra, rendendola più familiare ed accettabile.
Strade senza pareti di roccia, senza soffitti, non
più lo stillicidio lontano che echeggia morbidamente in distanza tra un
cunicolo e l'altro, non più il ticchettare di enormi zampe insettoidi sulla
pietra. E il vento. Eppure il canto della città è ancora udibile in distanza,
cosi diverso dal canto della roccia silente. Questo mondo e senza echi, questo
mondo chiassoso che mi stupisce.
Si alza il vento, chiudo gli occhi, assaporo la sua
carezza sulla pelle e mi accorgo che sto sorridendo. Sorrido silente
nell'oscurità, protetta dall'ombra delle rocce, dalla luce che non abbandona
mai questo luogo, neanche durante le ore di buio. Vento che mi porta l'odore
distante dei fiori; vento che mi dice che questo mondo non è mai completamente
silente; vento che mi porta il canto di questo mondo sempre in movimento.
Apro gli occhi e accarezzo la roccia accanto a me,
sentendone sotto le dita la durezza e le irregolarità che mi grattano la pelle,
e annuisco.
Il canto delle rocce, nel silenzio, è la musica che preferisco.
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