di Massimo Capanna
Annullamento. Tepore. Protezione. Buio.
Ondeggiare senza più peso, fluttuare libera
senza costrizioni, espansa attraverso il creato degli dei, perdere se stessa
nell'infinito. Leggerezza. Volare via.
Un leggero tocco sul viso (ho un viso?) che
si sussegue ad altri quasi ritmicamente, da lontano, come filtrato attraverso
uno spesso panno. Sensazioni. Strane sensazioni sulla pelle nuda (ho una
pelle?) e lentamente uscire da quella percezione di flebile coscienza di se per
fluire senza soluzione di continuità verso una dimensione onirica.
Sento sotto di me qualcosa di soffice, sento
una carezza sul corpo e lentamente apro gli occhi, una luce incredibilmente
forte mi sferza gli occhi, alzo una mano a coprirli, strizzandoli per cercare
in qualche modo di vedere oltre quell'abbacinante coltre. Attorno a me presenze,
molteplici presenze; sono lì, non so come faccio a saperlo, li sento attraverso
sensi che non avevo.
Giro gli occhi: nebbia, bianca,
soffice, sottile che lentamente avanza attorno a me, sopra di me in lente
volute, e per un attimo sono persa in un reame di bianco. Bianco sopra di me,
attorno a me, sotto di me, tanto da farmi dubitare che io sia veramente stesa e
in verità non stia cadendo in un infinito mondo di fumo. No. Sotto di me sento una
superficie; lentamente mi alzo a sedere guardando quello strano mondo, poi mi
rendo conto di cosa sento sul corpo: fiocchi di neve, ma non sono freddi.
Dovrei gelare sono nuda seduta sulla neve, sento i fiocchi che mi cadono sulle
spalle, lungo la schiena. Il movimento fa cadere piccoli batuffoli che si erano
fermati sul seno, sulla pancia, sul viso. Alzo di nuovo una mano verso i miei
occhi, questa volta con curiosità, sino a pochi istanti fa (o millenni?) non
sentivo neanche di avere una mano, non sapevo cosa fosse una mano, solo quella
dolce sensazione d’incorporeo annullamento.
E' translucida. La mia mano è translucida,
posso vederci quasi attraverso. Guardando verso i miei piedi e le mie gambe;
sono incorporea eppure la neve si ferma su di me.
"Perché lo hai fatto?"
Una voce. Disorientata, mi guardo attorno, la
voce non è davanti a me ma dentro di me, nella mia mente. Per un assurdo attimo
non so se parlare o pensare la risposta, per un assurdo attimo non so se posso parlare
o se sono ridotta a una comunicazione mentale. Poi apro la bocca e rispondo. «Fatto
cosa? Perché mi hai svegliata? Stavo riposando, stavo sognando, c'era mio
padre, c'erano i miei amici. Sono stanca, fammi dormire.»
La mia voce suona strana, in quel luogo fatto
di neve e nebbia. Non sembra mia, non sono neanche sicura che stia parlando
veramente o stia muovendo la bocca per forza di abitudine focalizzando lo
sguardo sulla figura davanti a me.
"Non puoi riposare adesso, contavamo su
di te, devi ritornare indietro, è troppo importante! Ci siamo sacrificati, ora
tu devi aiutarci".
Scuoto la testa. Negazione e confusione. Voglio
tornare in quel luogo di dolce annullamento, mi ricordo che ero così stanca. Non
ci sono incubi nel luogo dove stavo riposando. «No, non mi va, voglio tornare a
dormire, e poi non so neanche di cosa stai parlando.»
Sì, così, convincili a tornare a dormire, mi
dico non sapendo se possono sentire il mio pensiero.
«E poi voi siete malvagi, lo so, vi ho sentito.
Volete solo uccidere.»
"Le ombre. Loro vogliono uccidere, noi
siamo coloro che si oppongono e tu sei colei che ci sta aiutando. È troppo
importante, guarda! Le sfere! Devi usare le sfere per raggiungere il frammento,
o Leryal potrebbe tornare. Si sta nutrendo di sogni, devi distruggere il frammento
prima che sia troppo tardi".
Maledetta voce, maledetti esseri, maledetta responsabilità! Scuoto il capo di
nuovo, voglio negare, eppure quello che dice la voce fa risvegliare qualcosa
dentro di me, qualcosa che non posso ritrattare senza sconfessare me stessa. Vecchie
lezioni, il nome tocca qualcosa di familiare, una divinità antica e oramai
morta. Sì, qualcosa di familiare che mi attraversa la mente.
«Leryal, sì, ma è morta. Un frammento.»
Poi l'idea mi attraversa la mente, così
lampante, così chiara ora.
"Non stiamo combattendo illusioni ma
incubi... ".
Una sensazione di fatalità sembra appesantire
la mia figura incorporea, le membra mi sembrano pesanti come il piombo. Tornare
a svegliarsi, dove tutto è un incubo, no! Tornare a notti insonni e ricordi sanguinosi,
tornare a combattere. Per un attimo chiudo gli occhi e un pensiero assurdo si
forma nella mia mente: forse se chiudo gli occhi per abbastanza tempo, posso
andare via da tutto questo in quel dolce nulla.
Ma altri pensieri si fanno strada, prima in
sordina, poi sempre più forti. Altre figure, amici che mi aspettano, battaglie
non finite. Oliel, Aerowin, Lnosh, Grace; una sequela di volti e sensazioni e
infine la figura di Morn.
Un sospiro mi scappa dalle labbra, sento
inesistenti polmoni svuotarsi di aria che non posso aver inalato in quel luogo
onirico, e prendo una decisione. In quello stesso momento sento le presenze
attorno a me muoversi, si accalcano attorno a me, entrano in me. Si fondono con
la mia essenza, apro le mani per poterle scacciare, mani che sino ad ora
coprivano le mie grazie, come se il mio corpo potesse essere d’interesse per
quegli esseri in quel luogo, e per un attimo il mio essere così pudica sembra
non avere più senso. Poi apro gli occhi e sento la nebbia, che prima era come
una soffice coperta, stringersi a me come un sudario. Mi sento soffocare, mi
sento pesante, mi sento precipitare.
Devo urlare, ma non ho una bocca.
Poi sento qualcuno urlare. È un urlo
strozzato di orrore, paura e confusione. Mi rendo conto che sono io che sto
urlando, mi rendo conto che ho bisogno d’ossigeno e l'urlo s’interrompe. Ingoio
preziosa aria, sento freddo e c'è qualcosa di duro sotto di me. Mi fanno male
le membra, il corpo sembra andare a fuoco, che lentamente si spegne lasciando
muscoli e ossa doloranti.
Apro gli occhi.
Per un attimo vedo solo una soffusa luce
verde, e temo di essere passata in un altro mondo. Verde invece che bianco, poi
sento il gorgogliare dell'acqua, odori assalgono il mio naso: legno, muschio,
acqua. Mi guardo attorno, vedo il letto di muschio, vedo la cascatella e gli
sparsi mobili di una stanza da letto. Ho freddo, sono dolorante e sono distesa
nuda sul pavimento della mia camera, a casa mia. Non so come ci sono arrivata,
mi ricordo le strade di Phia, poi il risveglio in quella landa bianca. E ora a
casa mia, nella mia stanza.
Singhiozzi scuotono il mio corpo, mi
raggomitolo in posizione fetale sul pavimento. Voglio piangere, sento lacrime
che solcano il mio viso, sento una profonda tristezza in me e non so perché. So
solo che ero stanca e mi hanno svegliato, so solo che anche se ora chiudo gli occhi,
non tornerò a quel sonno ristoratore da cui mi hanno strappato. Piango per me,
per altri, non lo so, ma la cosa mi consola un po’. Rimango sul pavimento per
non so quanto, un ultimo singulto mi scuote il corpo, poi un sospiro. Mi
asciugo le lacrime lentamente e con uno sforzo immane mi alzo. Il pavimento
sotto i miei piedi, l'aria che entra dalle finestre, lentamente sposto lo
sguardo su tutta la stanza, le pareti di corteccia, e mi fermo sul mobile che
contiene i miei vestiti.
Il sogno sembra finito. Non so come sono
arrivata qua, non so spiegare l'angoscia che mi chiude il cuore in una morsa
serrata, non so spiegare nulla. Forse un sogno, qualcosa di diverso in me, come
tessuto cicatriziale su pelle nuova ma questa volta è qualcosa d’interiore. Sento
un vuoto che è stato riempito con violenza, chiudo gli occhi e cerco di capire
ma è una sensazione effimera e sfuggente, non riesco a capire, è li, al confine
della mia coscienza, ma continua a sfuggirmi.
Raggiungo l'armadio, prendo la prima cosa che
mi capita sotto mano e la indosso: una semplice tunica di pelle. Dove sia la
roba che indossavo a Phia non lo so, non m’importa. A piedi nudi vado verso la
finestra e mi affaccio. È giorno inoltrato, il sole brilla su Apricot Knoll e
sulla vallata sottostante. Giro il viso verso la luce che penetra dalla
finestra, lascio che la calda sensazione mi accarezzi il viso e torno con lo
sguardo sulla stanza dove mi sono svegliata, cosi familiare ma nel contempo
cosi aliena, ora. Incrocio le braccia sotto il seno abbracciando me stessa e
chino il capo di nuovo, guardo il pavimento scorro gli occhi sulle linee e sui
nodi del legno lasciando che la mente si svuoti. Sono stanca, ma non posso
riposare, non ancora. Ricordo le voci e quello che mi hanno detto. Un giorno
riposerò, finalmente chiuderò gli occhi e tornerò in quel dolce luogo, ma non
oggi… non oggi.
Stringo di più l'abbraccio premendo le
braccia contro le costole e chiudendo le mani a pugno, poi chiudo anche gli
occhi. Una smorfia mi contorce le labbra, il viso ancora volto al pavimento. Attorno
a me la stanza sembra tranquilla, il sole che penetra dalla finestra e si
riflette sui colori naturali del legno, sulle piante, sulle tendine verde scuro
che riprendono il colore del fogliame, alcuni raggi colpiscono il piccolo
laghetto in miniatura e la cascatella dentro la stanza che segue la curva della
parete e sono riflessi e dispersi per la stanza lungo le pareti. Da fuori il
vento che fa muovere le foglie e in distanza il sottile brusio di Apricot Knoll
che penetra dalla finestra aperta, una leggera brezza sulle braccia nude.
Ho una bocca, posso urlare. Lo faccio.
Urlo con tutto il mio cuore, con tutta la
disperazione, l'angoscia e l'orrore che ho dentro; urlo finché non brucia la
gola e non manca il fiato, urlo finché non mi ritrovo piegata su me stessa con
gli occhi umidi di lacrime, ansimante e con le braccia incrociate sull'addome,
e tutto quello che provo per esser qui non sembra assopirsi o lasciarmi.
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