lunedì 20 agosto 2012

Risveglio

di Massimo Capanna


Annullamento. Tepore. Protezione. Buio.
Ondeggiare senza più peso, fluttuare libera senza costrizioni, espansa attraverso il creato degli dei, perdere se stessa nell'infinito. Leggerezza. Volare via.
Un leggero tocco sul viso (ho un viso?) che si sussegue ad altri quasi ritmicamente, da lontano, come filtrato attraverso uno spesso panno. Sensazioni. Strane sensazioni sulla pelle nuda (ho una pelle?) e lentamente uscire da quella percezione di flebile coscienza di se per fluire senza soluzione di continuità verso una dimensione onirica.
Sento sotto di me qualcosa di soffice, sento una carezza sul corpo e lentamente apro gli occhi, una luce incredibilmente forte mi sferza gli occhi, alzo una mano a coprirli, strizzandoli per cercare in qualche modo di vedere oltre quell'abbacinante coltre. Attorno a me presenze, molteplici presenze; sono lì, non so come faccio a saperlo, li sento attraverso sensi che non avevo.
 Giro gli occhi: nebbia, bianca, soffice, sottile che lentamente avanza attorno a me, sopra di me in lente volute, e per un attimo sono persa in un reame di bianco. Bianco sopra di me, attorno a me, sotto di me, tanto da farmi dubitare che io sia veramente stesa e in verità non stia cadendo in un infinito mondo di fumo. No. Sotto di me sento una superficie; lentamente mi alzo a sedere guardando quello strano mondo, poi mi rendo conto di cosa sento sul corpo: fiocchi di neve, ma non sono freddi. Dovrei gelare sono nuda seduta sulla neve, sento i fiocchi che mi cadono sulle spalle, lungo la schiena. Il movimento fa cadere piccoli batuffoli che si erano fermati sul seno, sulla pancia, sul viso. Alzo di nuovo una mano verso i miei occhi, questa volta con curiosità, sino a pochi istanti fa (o millenni?) non sentivo neanche di avere una mano, non sapevo cosa fosse una mano, solo quella dolce sensazione d’incorporeo annullamento.
E' translucida. La mia mano è translucida, posso vederci quasi attraverso. Guardando verso i miei piedi e le mie gambe; sono incorporea eppure la neve si ferma su di me.
"Perché lo hai fatto?"
Una voce. Disorientata, mi guardo attorno, la voce non è davanti a me ma dentro di me, nella mia mente. Per un assurdo attimo non so se parlare o pensare la risposta, per un assurdo attimo non so se posso parlare o se sono ridotta a una comunicazione mentale. Poi apro la bocca e rispondo. «Fatto cosa? Perché mi hai svegliata? Stavo riposando, stavo sognando, c'era mio padre, c'erano i miei amici. Sono stanca, fammi dormire.»
La mia voce suona strana, in quel luogo fatto di neve e nebbia. Non sembra mia, non sono neanche sicura che stia parlando veramente o stia muovendo la bocca per forza di abitudine focalizzando lo sguardo sulla figura davanti a me.
"Non puoi riposare adesso, contavamo su di te, devi ritornare indietro, è troppo importante! Ci siamo sacrificati, ora tu devi aiutarci".
Scuoto la testa. Negazione e confusione. Voglio tornare in quel luogo di dolce annullamento, mi ricordo che ero così stanca. Non ci sono incubi nel luogo dove stavo riposando. «No, non mi va, voglio tornare a dormire, e poi non so neanche di cosa stai parlando.»
Sì, così, convincili a tornare a dormire, mi dico non sapendo se possono sentire il mio pensiero.
«E poi voi siete malvagi, lo so, vi ho sentito. Volete solo uccidere.»
"Le ombre. Loro vogliono uccidere, noi siamo coloro che si oppongono e tu sei colei che ci sta aiutando. È troppo importante, guarda! Le sfere! Devi usare le sfere per raggiungere il frammento, o Leryal potrebbe tornare. Si sta nutrendo di sogni, devi distruggere il frammento prima che sia troppo tardi".

Maledetta voce, maledetti esseri, maledetta responsabilità! Scuoto il capo di nuovo, voglio negare, eppure quello che dice la voce fa risvegliare qualcosa dentro di me, qualcosa che non posso ritrattare senza sconfessare me stessa. Vecchie lezioni, il nome tocca qualcosa di familiare, una divinità antica e oramai morta. Sì, qualcosa di familiare che mi attraversa la mente.
«Leryal, sì, ma è morta. Un frammento.»
Poi l'idea mi attraversa la mente, così lampante, così chiara ora.
"Non stiamo combattendo illusioni ma incubi... ".
Una sensazione di fatalità sembra appesantire la mia figura incorporea, le membra mi sembrano pesanti come il piombo. Tornare a svegliarsi, dove tutto è un incubo, no! Tornare a notti insonni e ricordi sanguinosi, tornare a combattere. Per un attimo chiudo gli occhi e un pensiero assurdo si forma nella mia mente: forse se chiudo gli occhi per abbastanza tempo, posso andare via da tutto questo in quel dolce nulla.
Ma altri pensieri si fanno strada, prima in sordina, poi sempre più forti. Altre figure, amici che mi aspettano, battaglie non finite. Oliel, Aerowin, Lnosh, Grace; una sequela di volti e sensazioni e infine la figura di Morn.
Un sospiro mi scappa dalle labbra, sento inesistenti polmoni svuotarsi di aria che non posso aver inalato in quel luogo onirico, e prendo una decisione. In quello stesso momento sento le presenze attorno a me muoversi, si accalcano attorno a me, entrano in me. Si fondono con la mia essenza, apro le mani per poterle scacciare, mani che sino ad ora coprivano le mie grazie, come se il mio corpo potesse essere d’interesse per quegli esseri in quel luogo, e per un attimo il mio essere così pudica sembra non avere più senso. Poi apro gli occhi e sento la nebbia, che prima era come una soffice coperta, stringersi a me come un sudario. Mi sento soffocare, mi sento pesante, mi sento precipitare.
Devo urlare, ma non ho una bocca.
Poi sento qualcuno urlare. È un urlo strozzato di orrore, paura e confusione. Mi rendo conto che sono io che sto urlando, mi rendo conto che ho bisogno d’ossigeno e l'urlo s’interrompe. Ingoio preziosa aria, sento freddo e c'è qualcosa di duro sotto di me. Mi fanno male le membra, il corpo sembra andare a fuoco, che lentamente si spegne lasciando muscoli e ossa doloranti.
Apro gli occhi.
Per un attimo vedo solo una soffusa luce verde, e temo di essere passata in un altro mondo. Verde invece che bianco, poi sento il gorgogliare dell'acqua, odori assalgono il mio naso: legno, muschio, acqua. Mi guardo attorno, vedo il letto di muschio, vedo la cascatella e gli sparsi mobili di una stanza da letto. Ho freddo, sono dolorante e sono distesa nuda sul pavimento della mia camera, a casa mia. Non so come ci sono arrivata, mi ricordo le strade di Phia, poi il risveglio in quella landa bianca. E ora a casa mia, nella mia stanza.
Singhiozzi scuotono il mio corpo, mi raggomitolo in posizione fetale sul pavimento. Voglio piangere, sento lacrime che solcano il mio viso, sento una profonda tristezza in me e non so perché. So solo che ero stanca e mi hanno svegliato, so solo che anche se ora chiudo gli occhi, non tornerò a quel sonno ristoratore da cui mi hanno strappato. Piango per me, per altri, non lo so, ma la cosa mi consola un po’. Rimango sul pavimento per non so quanto, un ultimo singulto mi scuote il corpo, poi un sospiro. Mi asciugo le lacrime lentamente e con uno sforzo immane mi alzo. Il pavimento sotto i miei piedi, l'aria che entra dalle finestre, lentamente sposto lo sguardo su tutta la stanza, le pareti di corteccia, e mi fermo sul mobile che contiene i miei vestiti.
Il sogno sembra finito. Non so come sono arrivata qua, non so spiegare l'angoscia che mi chiude il cuore in una morsa serrata, non so spiegare nulla. Forse un sogno, qualcosa di diverso in me, come tessuto cicatriziale su pelle nuova ma questa volta è qualcosa d’interiore. Sento un vuoto che è stato riempito con violenza, chiudo gli occhi e cerco di capire ma è una sensazione effimera e sfuggente, non riesco a capire, è li, al confine della mia coscienza, ma continua a sfuggirmi.
Raggiungo l'armadio, prendo la prima cosa che mi capita sotto mano e la indosso: una semplice tunica di pelle. Dove sia la roba che indossavo a Phia non lo so, non m’importa. A piedi nudi vado verso la finestra e mi affaccio. È giorno inoltrato, il sole brilla su Apricot Knoll e sulla vallata sottostante. Giro il viso verso la luce che penetra dalla finestra, lascio che la calda sensazione mi accarezzi il viso e torno con lo sguardo sulla stanza dove mi sono svegliata, cosi familiare ma nel contempo cosi aliena, ora. Incrocio le braccia sotto il seno abbracciando me stessa e chino il capo di nuovo, guardo il pavimento scorro gli occhi sulle linee e sui nodi del legno lasciando che la mente si svuoti. Sono stanca, ma non posso riposare, non ancora. Ricordo le voci e quello che mi hanno detto. Un giorno riposerò, finalmente chiuderò gli occhi e tornerò in quel dolce luogo, ma non oggi… non oggi.
Stringo di più l'abbraccio premendo le braccia contro le costole e chiudendo le mani a pugno, poi chiudo anche gli occhi. Una smorfia mi contorce le labbra, il viso ancora volto al pavimento. Attorno a me la stanza sembra tranquilla, il sole che penetra dalla finestra e si riflette sui colori naturali del legno, sulle piante, sulle tendine verde scuro che riprendono il colore del fogliame, alcuni raggi colpiscono il piccolo laghetto in miniatura e la cascatella dentro la stanza che segue la curva della parete e sono riflessi e dispersi per la stanza lungo le pareti. Da fuori il vento che fa muovere le foglie e in distanza il sottile brusio di Apricot Knoll che penetra dalla finestra aperta, una leggera brezza sulle braccia nude.
Ho una bocca, posso urlare. Lo faccio.
Urlo con tutto il mio cuore, con tutta la disperazione, l'angoscia e l'orrore che ho dentro; urlo finché non brucia la gola e non manca il fiato, urlo finché non mi ritrovo piegata su me stessa con gli occhi umidi di lacrime, ansimante e con le braccia incrociate sull'addome, e tutto quello che provo per esser qui non sembra assopirsi o lasciarmi.

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